Storie vere di incontri ravvicinati del quarto tipo
Ti è mai capitato di guardare l’orologio e accorgerti che mancano pezzi della tua giornata? Quei minuti – o peggio, quelle ore – che sembrano evaporati nel nulla, lasciandoti con un senso di vuoto e confusione? E se ti dicessi che migliaia di persone in tutto il mondo hanno vissuto esperienze simili, ma con un dettaglio in più: la convinzione di essere stati prelevati da entità extraterrestri?
Oggi voglio portarti in un viaggio al confine tra scienza e mistero, tra scetticismo e meraviglia. Parliamo di rapimenti alieni, o “abduction” come vengono chiamati in gergo ufologico. Non ti chiedo di crederci ciecamente, ma nemmeno di liquidare tutto come fantascienza. Ti invito semplicemente ad ascoltare queste storie con mente aperta, perché dietro ogni racconto c’è una persona reale che ha vissuto qualcosa di profondamente sconcertante.
Cosa significa davvero essere rapiti dagli alieni?
Prima di tuffarci nelle storie più famose, fermiamoci un attimo a capire di cosa stiamo parlando. Un rapimento alieno non è semplicemente avvistare una luce strana nel cielo o vedere un oggetto volante non identificato. È qualcosa di molto più invasivo e personale.
Le persone che sostengono di essere state rapite raccontano di essere state prelevate contro la loro volontà, spesso di notte, trasportate a bordo di veicoli spaziali e sottoposte a esami fisici da parte di creature non umane. Molti descrivono paralisi temporanee, luci accecanti, stanze metalliche e sensazioni di totale impotenza. Quando tornano – se ricordano qualcosa – scoprono che sono passate ore senza che ne abbiano memoria.
La cosa che colpisce di più? La coerenza. Persone che non si sono mai conosciute, in continenti diversi e in epoche diverse, raccontano esperienze straordinariamente simili. Coincidenza? Suggestione collettiva? O forse c’è qualcosa di più?
Brasile, 1957: quando un contadino incontrò l’aliena più bella della galassia
Partiamo dal Brasile, ottobre 1957. Antônio Villas-Boas aveva solo 23 anni e stava facendo quello che faceva ogni giorno: arare i campi della sua fattoria. Una vita semplice, lontana dai riflettori, lontana dalle fantasie hollywoodiane sugli alieni. Finché quella sera non comparve nel cielo una luce rossa, brillante, che si avvicinava sempre di più.

Immagina la scena: sei solo, nei campi, è buio, e questa “stella” si fa sempre più grande fino a rivelare la sua vera natura – un oggetto metallico che atterra vicino a te con l’aiuto di zampe robotiche. Villas-Boas fece quello che avrebbe fatto chiunque: scappò. Saltò sul trattore e premette l’acceleratore, ma il mezzo si spense all’istante, come se qualcuno avesse staccato la spina a tutta l’energia disponibile.

Continuò a piedi, ma non andò molto lontano. Creature alte circa un metro e mezzo, con caschi e piccoli occhi azzurri, lo circondarono e lo trascinarono a bordo della loro nave. Quello che successe dopo ha dell’incredibile: venne spogliato, cosparso di un gel strano, esposto a gas che lo fecero star male. Ma il culmine della storia arriva quando – e qui devi credermi, non me lo sto inventando – una donna aliena estremamente attraente entrò nella stanza.
Villas-Boas raccontò di essere stato coinvolto in un’esperienza sessuale con questa creatura extraterrestre. Sì, hai capito bene. Secondo lui, gli alieni lo avevano scelto come donatore genetico. Dopo quattro ore di questa assurda odissea, venne rivestito e rilasciato nei campi da cui era partito.
La parte interessante? Villas-Boas non era un mitomane in cerca di attenzione. Si rivolse alle autorità, venne esaminato da medici che confermarono la sua esposizione a radiazioni anomale. Ricordava ogni dettaglio con una precisione disarmante, senza nemmeno bisogno di ipnosi. Divenne avvocato, si sposò, ebbe quattro figli e visse una vita normalissima. Ma quella notte del 1957 rimase sempre un mistero nella sua biografia.
New Hampshire, 1961: il caso che cambiò tutto
Se dovessi scegliere il caso più importante nella storia dei rapimenti alieni, quello che ha letteralmente aperto la strada a tutti gli altri, sarebbe sicuramente quello di Barney e Betty Hill. Siamo nel settembre 1961, una coppia normale che torna a casa dopo una vacanza in Canada. Strada tranquilla, notte serena, niente di particolare. O così credevano.

Betty nota per prima quella strana luce nel cielo. All’inizio pensa a una stella cadente – chi non l’avrebbe fatto? – ma il movimento è anomalo. Si muove in modo intelligente, deliberato. La coppia si ferma per osservare meglio, armata di un binocolo. E quello che vedono li cambia per sempre.
L’oggetto li segue per chilometri. Non è minaccioso, non emette suoni, semplicemente… li accompagna. Finché a Indian Head non si posiziona direttamente sopra la loro auto, a una trentina di metri di altezza, avvolgendola in un cono di luce. Barney, armato di coraggio e di una pistola, scende per vedere meglio. Attraverso il binocolo conta tra gli otto e gli undici volti che lo osservano dagli oblò.

Poi il vuoto. Il buco nero della memoria. Quando si “svegliano”, sono di nuovo in macchina, stanno guidando, ma sono passate tre ore. Tre ore di cui non hanno alcun ricordo. Come se qualcuno avesse premuto il tasto cancella nel loro cervello.
I giorni successivi furono un incubo. Malessere generale, ustioni inspiegabili sulla pelle e per Betty una serie interminabile di sogni terrificanti che la tormentavano ogni notte. Decisero di rivolgersi al dottor Benjamin Simon, uno psichiatra specializzato in ipnosi regressiva. E fu lì, nelle profondità della loro mente, che emersero i ricordi sepolti.
Gli alieni li avevano fermati, presi a bordo, sottoposti a esami medici. Betty disegnò persino una mappa stellare che le creature le avevano mostrato, una mappa che anni dopo venne identificata come il sistema di Zeta Reticuli, una costellazione reale distante anni luce da noi. Come poteva conoscerla Betty nel 1961, quando nemmeno gli astronomi avevano mappato quella regione dello spazio?

Gli scettici hanno fatto notare che pochi giorni prima del rapimento era andato in onda un episodio di “The Outer Limits” con alieni simili a quelli descritti da Barney. E che Betty aveva visitato un planetario tempo prima. Ma queste obiezioni non spiegano tutto: non spiegano le tre ore mancanti, le ustioni, la sincronicità dei ricordi sotto ipnosi.
Massachusetts, 1967: quando gli alieni entrano in casa tua
Gennaio 1967, South Ashburnham, Massachusetts. Betty Andreasson sta preparando la cena in cucina. Ha sette figli da accudire e una vita normale, ordinaria. È una donna profondamente religiosa, completamente estranea al mondo dell’ufologia. Non legge riviste sugli UFO, non guarda film di fantascienza. Il che rende la sua storia ancora più sconcertante.

Alle 18.35 le luci si spengono per un istante. Poi quella strana luminescenza rosso-arancio che filtra dalla finestra della cucina. Suo padre va a controllare cosa sta succedendo, i bambini sono spaventati. E poi… l’impossibile diventa reale.
Cinque creature umanoidi, alte poco più di un metro, attraversano le pareti di casa come fantasmi. Non forzano porte, non rompono finestre. Semplicemente entrano. E con un potere che Betty non può comprendere, paralizzano tutti i membri della famiglia. Tutti tranne lei.
Il leader del gruppo – perché anche tra gli alieni sembra esserci una gerarchia – entra in contatto telepatico con Betty. Le parla nella mente, la tranquillizza. Per dimostrare che non sono lì per fare del male, liberano temporaneamente Becky, una delle figlie, così che Betty possa vedere con i suoi occhi che sta bene.
Betty viene condotta a bordo di una piccola navicella che, dopo il decollo, si aggancia a un veicolo molto più grande. Lì incontra altri alieni, viene sottoposta a esami, e le viene detto qualcosa di straordinario: hanno inserito nella sua mente delle conoscenze speciali, informazioni che le saranno rivelate “al momento opportuno”. Come un file zip scaricato nel cervello, in attesa di essere decompresso.

Quattro ore dopo, alle 22:40, Betty torna a casa. La famiglia è ancora paralizzata, come se per loro il tempo non fosse passato. Gli alieni se ne vanno e la vita riprende, ma niente sarà più come prima.
La cosa più inquietante di questo caso? La precisione con cui sia Betty che sua figlia Becky, sottoposte separatamente a ipnosi regressiva, descrivono gli stessi dettagli, gli stessi volti, gli stessi momenti. Ray Fowler, investigatore del MUFON che dedicò dieci anni a studiare questo caso, disse: “O Betty Andreasson è la più grande attrice e bugiarda della storia, oppure è davvero passata attraverso questa odissea impossibile”.
Arizona, 1975: il boscaiolo che scomparve per cinque giorni
Travis Walton aveva 22 anni quando la sua vita cambiò per sempre. Era il 5 novembre 1975, e lui e altri sei colleghi stavano rientrando dopo una giornata di lavoro nella foresta. Sette testimoni, non uno. Sette persone che videro la stessa cosa.
Un disco luminoso bloccò la strada. Non era lontano, non era in alto nel cielo. Era lì, davanti a loro, reale e impossibile allo stesso tempo. I colleghi urlarono a Travis di non scendere dal furgone, ma sai com’è la curiosità umana. Travis scese, si avvicinò all’oggetto. E un raggio di luce lo colpì in pieno.

I colleghi scapparono, terrorizzati. Quando tornarono, pochi minuti dopo, di Travis non c’era più traccia. Chiamarono la polizia, partirono le ricerche, i giornali si riempirono della storia del boscaiolo scomparso. La famiglia era disperata. Gli scettici accusavano i colleghi di averlo ucciso e di essersi inventati la storia degli alieni.
Cinque giorni dopo, Travis riapparve. Era il 10 novembre. Lo trovarono in una cabina telefonica, provato, confuso, fisicamente debilitato. Dove era stato? Cosa gli era successo?
Travis raccontò di essersi svegliato in una stanza metallica, circondato da creature con grandi occhi neri. Aveva cercato di difendersi, di lottare, ma era troppo debole. Poi altri esseri, più umani nell’aspetto, lo avevano calmato e in qualche modo trasportato sulla Terra, lasciandolo in quella cabina telefonica.

Il caso divise l’opinione pubblica. Travis non superò completamente il test del poligrafo, anche se i suoi difensori sostengono che il trauma potesse aver influenzato i risultati. Vendette la sua storia ai giornali per qualche migliaio di dollari, il che per molti fu la prova che si trattava di una frode. Hollywood ci fece un film nel 1993, “Bagliori nel Buio”, che ovviamente prese le parti di Travis.
Ma rimane un fatto: sette persone videro qualcosa quella notte. Sette testimoni che, anche sotto pressione della polizia e dei media, non hanno mai cambiato la loro versione. Travis è scomparso per cinque giorni. Se è stata tutta una messinscena, è stata orchestrata alla perfezione.
Maine, 1976: quattro amici e una notte che non avrebbe dovuto esistere
Questa storia ha qualcosa di particolarmente inquietante perché coinvolge quattro persone contemporaneamente. Non un singolo individuo che potrebbe aver avuto un’allucinazione, ma un gruppo di amici che vissero insieme la stessa esperienza.
Agosto 1976, Allagash, Maine. I fratelli gemelli Jack e Jim Weiner, insieme agli amici Charlie Foltz e Chuck Rak, decidono di trascorrere qualche giorno in mezzo alla natura. Escursioni, pesca, campeggio. Quella sera accendono un grande fuoco sulla riva del lago Eagle e si mettono in barca per pescare di notte.

Chuck è il primo ad accorgersene. Si sente osservato. Guarda in alto e vede un globo luminoso che si muove nel cielo. Avverte gli altri. Charlie, con il genio tipico di chi sta per fare la cosa più stupida della propria vita, punta la torcia elettrica verso l’oggetto e la fa lampeggiare come un segnale Morse.
L’oggetto risponde.
Si avvicina, sempre più veloce. Illumina l’acqua, avvolge le barche in un raggio di luce abbagliante. I ragazzi remano come pazzi verso la riva, in preda al panico. Quando finalmente raggiungono la terra ferma, si rendono conto che qualcosa non torna.
Il fuoco. Quel grande fuoco che avevano acceso prima di partire, che doveva ardere per ore, è ridotto a pochi tizzoni fumanti. Come se fossero passate due o tre ore. Ma per loro sono passati solo pochi minuti.
Tornarono a casa, cercarono di dimenticare. Ma gli incubi iniziarono. Mal di testa ricorrenti. Ansia inspiegabile. Solo nel 1989, tredici anni dopo, decisero di rivolgersi al MUFON e sottoporsi a ipnosi regressiva. Separatamente, per evitare contaminazioni.
Tutti e quattro raccontarono la stessa storia: la luce non li aveva solo avvolti, li aveva trasportati a bordo. Esami medici, creature piccole con grandi occhi, stanze metalliche. E per i gemelli Jack e Jim, l’ipnosi rivelò qualcosa di ancora più sconcertante: quello non era stato il loro primo incontro. Avevano ricordi sepolti di rapimenti avvenuti durante l’infanzia.

Vittime predestinate? Cavie scelte per qualche esperimento a lungo termine? O quattro amici che elaborarono insieme una fantasia collettiva innescata da un evento naturale mal interpretato?
Allora, cosa dovremmo pensare?
Eccoci qui, alla fine di questo viaggio nelle profondità del mistero. Avrai notato che non ho preso posizione, non ti ho detto “credi” o “non credere”. Perché onestamente? Non lo so nemmeno io.
Da una parte abbiamo centinaia di testimonianze coerenti, persone normali che non avevano nulla da guadagnare dalle loro storie. Alcuni hanno subito ridicolizzazione, altri hanno perso il lavoro, altri ancora sono stati etichettati come pazzi. Perché dovrebbero inventarselo?

Dall’altra parte, la scienza ci insegna a essere scettici. L’ipnosi regressiva non è considerata uno strumento affidabile – è troppo facile che l’ipnotista, anche involontariamente, suggerisca le risposte. I ricordi possono essere costruiti, plasmati, inventati dal nostro cervello per dare senso a esperienze che non comprendiamo.
Forse queste persone hanno davvero incontrato esseri di altri mondi. Forse hanno vissuto fenomeni naturali rari che la scienza non ha ancora spiegato. Forse hanno elaborato traumi psicologici attraverso narrazioni fantastiche. O forse – e qui sta il bello del mistero – la verità è un mix di tutto questo.
Una cosa però è certa: ogni volta che guardi il cielo notturno e vedi una luce che si muove in modo strano, una parte di te si chiederà “e se…?”. E forse è proprio quella meraviglia, quella capacità di interrogarci sull’ignoto, che ci rende umani.
Il cielo è grande, l’universo è infinito. Sarebbe presuntuoso pensare di essere soli. Ma è altrettanto straordinario pensare di non esserlo. E tu, da che parte stai? La prossima volta che ti mancano alcuni minuti della giornata, magari darai un’occhiata in più verso l’alto. Non si sa mai.